Se l'Europa frena, la Cina rischia di ingranare la retromarcia. I profitti delle principali aziende industriali del dragone rosso sono diminuiti dell'1,1% su base annua nei primi sette mesi del 2022. Secondo l'Ufficio nazionale di statistica da gennaio a luglio, i big della manifattura made in China, hanno realizzato un utile complessivo pari a circa 712 milioni di euro. E si tratta soltanto della punta dell'iceberg, anche se come sempre quando si tratta dell'ex Celeste impero, le certezze sono poche e i dubbi tanti. Ma il piano straordinario da mille miliardi che Pechino sta per varare è una conferma indiretta che le cose stiano andando molto peggio del previsto.
I lockdown a ripetizione che stanno bloccano a macchia di leopardo decine di milioni di persone in molte province dove il manifatturiero è molto forte, rischiano di frenare ulteriormente la capacità produttiva. E sul mercato immobiliare si addensano i nuvoloni di nuovi scandali in cui sono coinvolti funzionari pubblici. La brusca frenata del mattone, fra l'altro, secondo uno studio diffuso nelle scorse settimane da Bloomberg, rischia di condurre al fallimento un'azienda su tre nella filiera dell'acciaio. Già ora gli acquisti di acciaio sono precipitati ai minimi dal 2008.
E poi c'è la Via della seta, il piano faraonico che avrebbe dovuto portare il dragone rosso a investire in tutto il mondo per controllarlo. Ma il milione di miliardi di investimenti annunciato nel 2013 è costellato di elefanti bianchi: progetti faraonici che con la recessione incipiente rischiano di far saltare per aria le finanze dei Paesi coinvolti e le banche cinesi. Secondo uno studio dell'American Enterprise Institute, entro la fine del 2021 erano in corso progetti cinesi - molti in patria ma parecchi all'estero - per 838 miliardi di dollari. Tutti a debito e non pochi a rischio insolvenza. Una parte consistente del nuovo piano da mille miliardi servirebbe proprio a turare le falle di banche e società finanziarie coinvolte nei piani faraonici della nuova via della seta. Il delisting da Wall Street di cinque colossi cinesi - Petro China, China Life Insurance, China Petroleum Chemical, Sinopec e Aluminum of China - si deve al fatto che queste società non hanno accettato di far asseverare le certificazioni dei loro bilanci. Ma se il dragone rosso dovesse entrare in una seria crisi di liquidità, crescerebbe il rischio sulle forniture di componenti e semilavorati di cui ha bisogno l'industria occidentale. Inclusa quella italiana. E interi comparti, quello dell'auto ad esempio, potrebbero bloccarsi del tutto.
FONTE: LIBERO QUOTIDIANO
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